Giovanni Faleg, Segretario PD Washington*
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Evitare il disfattismo, rafforzare la presenza sul territorio, ricostruire il rapporto con la base del partito. Sono queste tre priorità per rilanciare l’azione politica del Partito Democratico dopo la batosta delle elezioni amministrative 2016.
Primo punto: il disfattismo. In molti hanno criticato Matteo Renzi per l’eccessiva arroganza, la presunzione e la superficialità della sua politica. In molti hanno dichiarato morta la Terza Via post-social democratica. Alcuni hanno parlato di “fine del renzismo”. Andiamoci piano. Che gli attacchi al PD vengano dalla retorica cinque stelle o dalla destra ci può anche stare, ma il “fuoco amico” all’interno dell’area democratica è pericoloso e controproducente. Fino a prova contraria, è stato il PD pre-Renzi a deludere alle elezioni politiche del 2013, favorendo l’ascesa del M5S. Ed è stato il PD guidato da Renzi a vincere le elezioni europee, risultato sorprendente considerato l’euroscetticismo dilagante. Dice bene Pierluigi Bersani: le amministrative le ha perse il PD, non Renzi. La caduta di Roma, in particolare, parte da lontano. Ha origine in esempi di cattiva amministrazione, di scandali, e riflette un’incapacità del PD di generare buoni leaders a livello locale. Che la rottamazione non abbia risolto questo problema non ci piove, ed è un aspetto su cui riflettere e lavorare nei prossimi mesi. Ma occorre assolutamente evitare attacchi sconsiderati agli “ismi” ed agli “enzi”. Dividerebbero ulteriormente il partito, evitando quel ricambio generazionale e la formazione di nuove élites democratiche che, alla luce dei risultati di questo fine settimana, è ancor piú urgente.
Secondo punto: la presenza sul territorio. E’ giusto far notare al Segretario Renzi che l’agenda è stata troppo concentrata sulle dinamiche “nazionali”. Nelle regioni e nei comuni, il PD ha perso terreno, anche a causa della scarsa sensibilità della leadership nell’affrontare i problemi del territorio. Anche per una questione di necessità – dettata dalle battaglie per le riforme e per ottenere maggiore flessibilità dall’Unione Europea sui conti pubblici – Renzi si è focalizzato sulle questioni “macro”, sulla grand strategy per rilanciare e modernizzare il paese, sottovalutando le dinamiche “micro”. Errore umano, dettato forse da eccessiva hubris, ma anche dalla difficoltà – comprensibile e giustificabile – di combattere su troppi fronti. La battaglia politica di Renzi si è giocata a Bruxelles, a Berlino, a Teheran, nella Silicon Valley. Ma le guarnigioni democratiche nel Lazio, nel Piemonte e in Campania sono rimaste sguarnite. Si è sottovalutato il fatto che la forza di un partito non si costruisce solo negoziando con i poteri forti, ma costruendo e nutrendo comunità locali che tutelino gli interessi dei cittadini. L’assenza del PD dalle strade, dalle piazze, dai quartieri ha aperto la strada al M5S. Per ripartire, occorrono nuovi leaders democratici che cambino l’immagine del PD nel territorio, e ricostituiscano nel tempo le basi di una comunità democratica. Chi in questi anni ha permesso al populismo di guadagnare consensi, o chi si è intascato bustarelle fregandosene degli interessi della sua circoscrizione, deve andare a casa – va rottamato, senza possibilità di appello. Spazio a giovani democratici – o vecchi, purché siano capaci di interpretare i bisogni dei cittadini e ricostruire uno spirito di appartenenza a una comunità di buone politiche.
Terzo punto: il rapporto con la base. Renzi sa comunicare con gli elettori. Nel mondo di oggi, tuttavia, la comunicazione non basta. Occorre coinvolgimento, partecipazione. I cinque stelle vincono perché la base gioca un ruolo attivo nell’elaborazione dell’agenda politica. Per un partito moderno, è pressoché inevitabile trasformarsi in movimento. Anche i democratici americani hanno vinto due campagne elettorali con Barack Obama investendo su nuove tecniche di coinvolgimento dell’elettorato, in particolare attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie – apps, softwares, databases. La politica non è piú indottrinamento, né propaganda: è condivisione. Serve quindi una burocrazia flessibile, capace di coinvolgere la base, e di utilizzare al meglio le tecnologie per capire le necessità e le preferenze dei democratici. Il Partito Democratico vive ancora nel paleolitico. Il M5S, con tutti i suoi difetti, è un soggetto politico dei nostri tempi. Risorse finanziarie e capitale politico devono quindi essere investiti per rendere il PD piú moderno anche a livello organizzativo, favorendo la transizione da partito a movimento democratico.
Per concludere: la battaglia di Renzi volta a riformare il PD è una battaglia giusta, ed è importante sostenerla. Il PD ne aveva e ne ha ancora bisogno. I risultati delle amministrative devono essere letti in quest’ottica. Chi crede che rimuovendo il Segretario si possa rafforzare il PD, si sbaglia. Cosí come ha sbagliato chi pensava che la rottamazione avrebbe avuto un effetto immediato. Il buon senso ci dice che non esistono le bacchette magiche, e non devono esistere le ghigliottine. Quindi incassiamo con dignità la sconfitta, e continuiamo a costruire un partito migliore, imparando dagli errori, e affrontando con unità le prossime importanti sfide, a cominciare dal referendum costituzionale di ottobre.
Washington, DC, 22 giugno 2016.
*le opinioni espresse sono personali.